A Room With A Brew
Agosto 2016
Leggi l'articolo originale di Emily Linstrom qui.
Lo scorso agosto sono andata in Italia per aiutare un’amica che stava girando un documentario. Nel corso di quel mese sono stata in molti posti, Venezia, Padova, Milano, sul lago di Como e addirittura sull’Isola d’Elba, in cui Napoleone ha passato i suoi 100 giorni d’esilio.
In alcuni luoghi sono stata giusto il tempo per averne un assaggio prima di spostarmi verso altre mete, mentre in altri posti mi sono trattenuta ben più a lungo. Una città si è distinta come tappa necessaria del mio pellegrinaggio: Firenze, la città preferita della mia defunta nonna.
Parlo e scrivo spesso di mia nonna, per ragioni talmente numerose e intricate per essere riassunte adeguatamente. Durante la sua vita si è dedicata all’arte, alla storia e alla letteratura; era una filantropa, una superstite, un’anima adorabile. Una vera signora. Uno dei miei ricordi d’infanzia che ho sempre apprezzato maggiormente era guardare con lei l’adattamento di Merchant Ivory di “Camera con vista”, meravigliate dall’ambientazione lussureggiante, dalla colonna sonora e dalla bellezza di Julian Sands parzialmente svestito.
Mia nonna aveva visitato la città durante le riprese e parlava spesso dei suoi incontri con gli attori e le comparse che giravano in costume per le piazze e i bar della città durante la loro pausa pranzo. Abbiamo letto il libro e ne abbiamo discusso, ascoltato la colonna sonora, e mi disse che, tra tutte le città che aveva visitato negli ultimi anni della sua vita, dopo la morte del marito e il raggiungimento dell’età adulta da parte dei figli, proprio quando il mondo aveva le aveva riaperto le porte, Firenze le aveva rubato il cuore. Sperando di ritrovare quello che la città le aveva rubato, sono partita e ho passato un paio di giorni a Firenze.
Viaggiavo con il budget modesto tipico di una scrittrice appena arrivata a Firenze, con giusto i soldi per passeggiare per la città assorbendo ogni minimo dettaglio, ammirare la Primavera e la Nascita di Venere agli Uffizi, e sorseggiare uno spritz all’ultimo piano di un edificio ammirando il Duomo - più che abbastanza direi!
Ho trovato una fantastica organizzazione chiamata Florence free tour, sostenuta dalle donazioni dei turisti, e mi sono immersa nella bellezza del loro tour a piedi della città dedicato alla famiglia de’ Medici, concentrato sul lungo regno e sull’enorme influenza sulla città che la famiglia ha avuto durante i secoli. (Secondo la tradizione popolare, dobbiamo ringraziare Caterina de’ Medici per l’invenzione del gelato come lo conosciamo oggi.) Ho anche scoperto che ero ad un tiro di schioppo dal luogo dove l’attrice Jessica Chastain stava passando le vacanze con la famiglia. (Sono umana anche io, dopo tutto.)
E attraverso tutto questo, mia nonna era dappertutto.
Ho affittato una stanza tramite Airbnb in un appartamento non molto lontano dal centro della città, il cui proprietario, Sole, un accogliente uomo di mondo argentino, offriva ai suoi ospiti lezioni quotidiane sul come fare la pasta e letture del loro quadro astrale. (Pesci, e non sono un granché come cuoca).
Una sera ha invitato un amico, Alfonso, il proprietario e fondatore di un marchio di caffè equo e solidale di alta gamma dal nome Caffè Pontevecchio Firenze.
Essendo una persona che ha dedicato un intero piano della propria piramide nutrizionale al caffè, ovviamente il mio interesse è stato golosamente attratto. Ogni cosa che scoprivo riguardo all’azienda di Alfonso e alla sua filosofia sostenibile, mi convinceva sempre di più a condividere la sua storia.
Prendendo il nome dall’area del Ponte Vecchio, da lungo tempo casa degli artigiani più raffinati di Firenze, Alfonso ha fondato la CPF con la missione di produrre le migliori miscele di caffè senza approfittarsi dei lavoratori che le miscelano. Più tardi mi ha anche dimostrato con un accendino la biodegradabilità e i materiali compostabili usati per produrre le sue capsule compatibili con le macchine Nespresso. Ero impressionata e scettica allo stesso tempo - com’è possibile che avesse sviluppato un marchio di successo di caffè di lusso mantenendo il rispetto per i lavoratori e i coltivatori attraverso 9 regioni del nostro pianeta? Purtroppo era il triste sintomo del mio punto di vista privilegiato tipico del mondo occidentale.
Firenze si è fatta un nome nei secoli come un grosso centro bancario, finanziando la monarchia inglese durante la guerra dei cent’anni, per citare uno dei loro clienti più famosi. Solo più tardi negli anni la città si è ritagliata un posto nel mondo dell’arte, diventando un punto nevralgico per l’arte stessa e per la cultura. A Firenze, l’arte e il commercio sono sempre andate a braccetto, infatti la città è stata il luogo di nascita per l’industria italiana della moda. Roberto Cavalli, Patrizia Pepe, Emilio Pucci e Gucci sono solo alcune delle aziende fondate a Firenze con sede in città, con lo studio della CPF di Alfonso, che condivide l’androne con la sede centrale di Gucci. Il mio budget da poeta mi ha tenuta alla larga da Via de’ Tornabuoni, ma non ha impedito agli entusiasti dallo sbirciare il David vestiti nei loro parka di Scervino.
Vorrei far presente che, Firenze è una città dal lusso incredibile, con radici che nascono dai fiorini d’oro, fiorite in questa splendida, e splendidamente costosa città. E dato che lusso ed etica non vanno spesso d’accordo, incontrare un imprenditore che produce un caffè senza dubbio raffinato e dall’ incomparabile valore, tutto ciò mi ha ricordato la donna per cui ho fatto questo pellegrinaggio.
Ho pregato Alfonso di concedermi un’intervista, e gentilmente ha accettato. il mio compenso è stato una notte gratis presso la casa di Sole e uno scrigno pieno di caffè della CPF- più che abbastanza per questa scrittrice. E dato che il mio italiano è pietoso e l’inglese di Alfonso è ancora acerbo, Sole, il poliglotta, ha accettato di tradurre la mia intervista.
Il mattino dopo, Alfonso è passato a prendermi con la sua vespa e mi ha offerto un tour della città ad alta velocità degna di Jason Bourne, per poi fermarci negli uffici della Pontevecchio per mostrarmi tutto il catalogo e le cartelle stampa e dimostrarmi la biodegradabilità delle sue capsule.
Poco dopo abbiamo incontrato Sole in un bar vicino alla cattedrale, passando la maggior parte del pomeriggio parlando tra di noi, nel nostro terzetto italiano-argentino-americano
*
Q: Quale è stata la tua ispirazione per fondare Caffè Pontevecchio?
A: Vivevo nella zona del Ponte Vecchio e tutte le mattine quando mi svegliavo ero meravigliato dal panorama. Vedevo i turisti e la gente del posto bere il caffè e ho capito che era una cosa tipicamente italiana. Per noi il caffè è un rituale, ci svegliamo tutte le mattine e la prima cosa che facciamo è bere un caffè. Volevo portare questa filosofia in giro per il mondo, mostrando Firenze tramite il caffè.
Q: Quali sono stati i primi passi per realizzare il tuo sogno?
A: Ho organizzato e creato una squadra di persone che condividono con me la stessa passione e abbiamo iniziato a viaggiare in giro per il mondo, visitando molti paesi che producono caffè. Cercavamo posti che non solo producevano caffè, ma che rispettassero i diritti umani- paghe giuste, niente lavoro minorile, caffè totalmente biologico e materiali biodegradabili. Volevo anche essere sicuro che i profitti venissero distribuiti equamente, yin e yang, prendo e do. Volevo essere sicuro di poter parlare personalmente con i coltivatori, chiedendo “Siete pagati bene?” “Vi trattano bene?”
Q: Hai incontrato qualche caso speciale durante i tuoi viaggi?
A: Durante uno dei miei viaggi in Colombia ho visitato una piantagione in cui il caffè è selezionato a mano, condotta esclusivamente da donne. La qualità del caffè colombiano è veramente stupefacente, ma le persone che lo producono non hanno vita facile. È lì che mi ha veramente colpito il fatto che volevo investire nelle persone, non solo nel mio prodotto. Quando sei il datore di lavoro, hai un ruolo sociale e non puoi essere uno spilorcio. Spendendo qualche centesimo in più e rinunciando a parte dei profitti fa molto per migliorare la qualità della vita di una persona- prova a pensare fino dove puoi arrivare? Perché non farlo?
Q: In quali altri modi hai voluto differenziare la Pontevecchio dagli altri marchi di caffè?
A: Assolutamente la qualità. Quando tostiamo il caffè usiamo un metodo artigianale studiato appositamente. Ad esempio, il caffè colombiano deve essere tostato per 50 minuti a 180 gradi, a differenza del caffè brasiliano che viene trattato in modo diverso. Negli anni abbiamo imparato a lavorare ogni tipo di caffè a seconda del paese da cui proviene. Alcune aziende comprano caffè da tutto il mondo, lo tostano nello stesso modo, lo raffreddano e poi lo confezionano. Con il nostro metodo artigianale il caffè viene separato e miscelato, continuando a provare le varie combinazioni per trovare la giusta miscela. Alla fine riesci ad arrivare ad un sapore coerente con le origini naturali del caffè.
Q: Hai avuto problemi a fondare la tua azienda?
A: (ridendo) Mentre stavo fondando l’azienda, ho incontrato solo difficoltà. Mentre spiegavo ai miei amici il mio progetto, pensavano fossi pazzo, la compagnia è nata nel garage del mio appartamento e alcuni dei miei soci hanno lasciato perché volevano entrare nel mercato con costi di produzione più bassi, senza riguardo per le persone che lavorano nei campi, cercando solo un profitto personale. Continuavo a litigare dicendo che un’azienda è molto di più di che un profitto, è un valore sociale, più soldi GUADAGNIAMO, più soldi GUADAGNANO i nostri fornitori. Ma sai, penso che ognuno inizi con delle sfide davanti a sé. La vera domanda è “come posso trasformare una sfida in un’opportunità?
Q: Quali sono state le tue ispirazioni per l’identità grafica del brand e della sua immagine?
A: Firenze è una città di gioiellieri; e il Ponte Vecchio è stata casa loro per secoli. Ho deciso di utilizzare il nero e l’oro per rappresentare questa cosa. Per alcuni clienti speciali usiamo addirittura della carta dorata. Il marchio è un’espressione di lusso e di qualità, ma anche di stile italiano, che ha alla base la qualità della vita, una buona vita.
Q: Dove si trovava la prima sede, come vi siete espansi da li in poi?
A: La nostra prima fiera si è tenuta a Dubai nel 2015, un’esposizione per vendere ad alcune compagnie aeree. Abbiamo assemblato un piccolo bar, e le persone ci chiedevano ‘Cosa ci fate qui? Tutti questi grandi marchi e aziende, voi chi siete?’. Alla fine abbiamo chiuso molti contratti con alcune compagnie aeree di alto livello e venduto i nostri prodotti in alcuni punti vendita in Europa, Singapore, Shanghai e Hong Kong, mentre adesso aspettiamo di poter vendere in alcuni negozi negli Stati Uniti. Inoltre stiamo lavorando ad una collaborazione con Gianfranco Lotti.
Q: Le vostre capsule biodegradabili sono un componente fondamentale del vostro marchio. Puoi spiegare come vengono prodotte?
A: Un giorno un cliente è arrivato da me e ha detto schiettamente che avevamo bisogno di un tipo di capsula che non inquinasse e contaminasse il mondo. Ci siamo messi a ricercare il processo di riciclaggio e il problema con i materiali riciclabili è che impiegano molto tempo a degradarsi e i risultati non sono sempre garantiti. Quindi abbiamo iniziato a sperimentare con delle capsule biologiche al 100%, a base di grano, che possono essere compostate direttamente in un giardino o, se buttate nell’immondizia, si degradano completamente nell’arco di una settimana. È stata una sfida. I contaminanti a base di plastica sono dappertutto, poco costosi, ma il nostro cliente aveva ragione- vanno contro tutto quello in cui crediamo. Che dire, non si può incapsulare nella plastica il sapore della natura.
Q: In che modo lo spirito italiano ha influenzato la CPF?
A: Non molti lo sanno, ma il Ponte Vecchio è una delle poche zone non distrutte durante la seconda guerra mondiale. “Vittoria” è scritto con 8 lettere, e l’8 è il numero della continuità, dell’infinito. Noi italiani amiamo la competizione, crediamo sia il modo in cui esprimiamo la nostra migliore creatività. In Italia abbiamo molti marchi e la competizione non finisce mai, ma questo è il modo in cui riusciamo a migliorarci. La sconfitta e la vittoria sono parte dello stesso ciclo, e gli italiani lo sanno. Per questo ci penso tutte le mattine, quando vado al lavoro.
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La mia defunta nonna diceva spesso che la gentilezza è la più sublime forma di saggezza. Forse è questo il motivo per cui ero così entusiasta di condurre questa intervista, di scrivere questa ode - non solo a lei, ad Alfonso o a Firenze, che comunque sono soggetti più he degni. Viviamo in un mondo ingiusto, governato da un’entropia che migliaia di anni di guerre, la religione e la filosofia non sono mai state in grado di spiegare. Siamo affamati e abbruttiti da una parte e giochiamo con la ricchezza e i privilegi dall’altra. Questo sbilanciamento è glorificato in ogni luogo, dalle riviste, ai film, anche nel giornalismo e nei social media. Il lusso è un qualcosa che tutti noi cerchiamo, e tendo a pensare che ci sia una parte oscura di noi che lo mette a contrasto con il benessere e il senso di valore di qualcun altro. Non è forse così che funziona l’invidia? Per finire, secondo le parole di Alfonso, “Il lusso non deve esistere a costo delle sofferenze e di una scarsa qualità della vita di un’altra persona.”
Così una luce positiva, una buona azione, brilla in un mondo malvagio.
Many thanks to Alfonso Petrella for his time and generosity, Alex Solecosta for acting as translator, and Davide Villa for the Italian transcript.